pubblicazioni e cataloghi - Michela Mirici Cappa

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“Cosa passa per la testa di una rispettabilissima architetto (o architetta, se vogliamo fare contenta Laura Boldrini), autrice di pubblicazioni sull'edilizia tradizionale della Valsesia e della Lapponia, quando si mette a dipingere?
È la domanda che sorge spontanea davanti alle creazioni non di rado spiazzanti di Michela Mirici Cappa, in modo peraltro legittimo.
Se c'è un ruolo che rimane di pertinenza dell'arte, è quello di rivelare la congenita diversità di chi vede e interpreta il mondo, contraddicendo la presunzione ottusa di chi vorrebbe il tutto conformato a poche visioni possibili. Fuori da ogni retorica, l'arte ci insegna davvero a concepire il diverso da noi, ad accettarlo, a ricavarne una qualche utilità, in termini, soprattutto, di apertura mentale, anche quando non lo si condivide.
Si può discutere su cosa sia il brutto, ma non c'è dubbio che sarebbe sempre in ciò che è troppo uguale a noi stessi, non aiutandoci a crescere.
Dunque, ben venga ciò che d'istinto ci sembrerebbe lontano, estraneo alle nostre abitudini, va concepito come un valore aggiunto. Con tutto ciò, non sempre riesce facile interpretare le simbologie metaforiche della Mirici Cappa.
Prendiamo, per esempio, il suo “Cultura Contemporanea”: un quadro con un occhio della provvidenza, si sarebbe detto una volta, qui non “entro” un triangolo, ma all'interno di cerchi concentrici, come nella sigla del programma tv Grande Fratello, da cui parte una scure che sfonda una riproduzione del Grido di Munch, e oltre di essa riduce in brandelli il più in alto di alcuni libri in pila.
È una visione positiva o negativa?
Propenderei per la seconda opzione, il capolavoro artistico e i libri rovinati non devono essere delle catene opprimenti di cui ci si libera, ma dei beni preziosi a cui si rinuncia.
Però l'ambiguità di significato continua a sussistere comunque, e a giudicare dal confronto con altre opere della Mirici Cappa che ne fanno a meno, non sembra un elemento penalizzante.
Guai, del resto, a esprimere gli stessi concetti in modo letterale: l'arte è necessariamente sintesi dialettica, anche a costo di riferirsi a concetti visualizzati non di universale condivisione.
Forse è proprio questo il suo bello”.
(Prof. VITTORIO SGARBI)

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